È l’alba del 31 marzo 1944 una pioggia leggera sta bagnando Pistoia, la primavera è prossima a sbocciare in tutta la sua bellezza e magnificenza ma non lo è ancora per la città provata dai bombardamenti che tra l’ottobre 1943 e il gennaio 1944 sconvolgono ancor di più l’esistenza dei pistoiesi. La città è deserta, tanti sono sfollati nelle campagne e nelle colline circostanti, le formazioni partigiane a cominciare da quella di Silvano Fedi si producono in azioni rischiosissime al fine di scacciare l’occupante tedesco e restituire la libertà perduta subito dopo l’8 settembre. Tra coloro che combattono i nazifascisti ci sono anche Alvaro Boccardi, Aldo Calugi, Lando Vinicio Giusfredi e Valoris Poli.
Alvaro Boccardi nato in una famiglia mezzadrile, chiamato alle armi e inviato con l’ARMIR sul fronte orientale, a inizio 1943 è tra pochi superstiti della tragica ritirata di Russia. Egli già dal febbraio 1944 si rifugia sui monti pistoiesi insieme agli amici Valoris Poli e Vannino Urati per darsi alla macchia ma dopo un mese i tre decidono di fare ritorno in città per approvvigionarsi ma tutto ciò non va a buon fine poiché sono catturati dalla GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) e trasferiti al carcere delle Ville Sbertoli insieme ad altri renitenti alla leva e disertori.
Aldo Calugi operaio presso la fonderia Mandorli inizialmente rimane fra le mura di casa ma a poco a poco anche in virtù dello scambio di opinioni con gli amici più cari tra cui un certo Fiorello sceglie di aggregarsi ad una delle formazioni partigiane costituite o in via di costituzione a Pistoia. Quanto da lui desiderato non va a buon fine a causa dell’arresto operato dalle milizie fasciste che lo accusano di diserzione.
Lando Vinicio Giusfredi calzolaio residente in Valdinievole che nel marzo 1944 ricevette la cartolina precetto di richiamo alle armi da lui considerata estranea ai suoi valori e alle sue considerazioni sulla società dell’epoca. Egli sognava un mondo in cui la libertà, la democrazia, la dignità umana e sociale la facessero da padroni e conseguentemente non poteva accettare e non poteva rispondere all’invito e alla pressante richiesta della Repubblica Sociale. Rispose di no all’invito e alle disposizioni contenute in quella cartolina rifugiandosi in casa dell’amico Oliviero Oliari. Tutto questo non fu sufficiente perché una soffiata consentì alla milizia fascista di arrestarlo e di condurlo anch’egli nelle carceri delle Ville Sbertoli.
Valoris Poli operaio presso la S. Giorgio dove si mise in luce per le eccellenti capacità nel lavoro manuale e nel disegno tecnico, compositore di brani musicali e appassionato di fotografia. Le limitazioni introdotte dal fascismo all’indomani della sua ascesa al potere e ancor più dopo il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925 fanno maturare in lui profonde convinzioni antifasciste, convinzioni che sviluppa in virtù di “incontri” che si svolgevano intorno al focolare domestico dove si dibatteva sul da farsi contro il regime ma si parlava anche di democrazia, di libertà, di uguaglianza. L’aver maturato dette convinzioni lo portarono a aderire ad una delle formazioni che nacquero lungo l’alta Valle dell’Ombrone. Assieme a Vannino Urati e Alvaro Boccardi si rifugia sulle montagne circostanti ma mentre fanno ritorno a Pistoia per problemi di viveri sono riconosciuti e denunciati da un delatore: fermati dalla milizia sono arrestati e condotti anch’essi alle Ville Sbertoli.
Aldo, Alvaro, Lando Vinicio, Valoris assieme a Vannino Urati, Salvatore Crescione e Secondo Fibucchi sono sottoposti a un processo farsa davanti al Tribunale Speciale. Aldo, Alvaro, Lando Vinicio e Valoris sono condannati alla pena capitale mentre Vannino Urati è condannato a 24 anni, gli altri due a 10 anni.
Subito dopo la pronuncia di condanna si attivano le formazioni partigiane e lo stesso CLN locale affinché i quattro siano liberati prima di essere condotti alla Fortezza di Santa Barbara ma l’operazione non va in porto i quattro sono fucilati alle sette.
Strazianti, commoventi sono le lettere scritte da Alvaro, Lando Vinicio e Aldo ai propri cari e di cui riportiamo il contenuto di una di queste:
«Carissimi babbo, la mia vita è già partita. Vi chiedo di fare di adorare la Mamma. Vi scongiuro moio e vi auguro tanto bene il padrone sera che vi terà costì non pensate a me fatemi dire delle Messe che io mi possa salvare l’anima io vi voglio tanto bene perdonatemi di quando bisticiari con me.
Carissima mamma io ti voglio tanto bene datemi Retta state sempre coi vostri figli e col babbo. Vi prego non pensate più a me io devo Morire dunque fatevi coraggio ora babbo pensate alla Mamma sempre ora vi saluto e vi bacio tanto.
Mi raccomando la vera della Mamma e dei miei fratellini in questa lettera fatela leggere alla zia ardelia che velasse mio fratello carissima zia ardelia io sono contento pregate per me cara Mamma e dio vi mantenga. Maria guarendo romano giovanni e marisina ciao un saluto in cielo. Alvaro».
I giovani, appena giunti in Fortezza, sono schierati al muro appena fuori della piazza interna proprio nello stesso luogo dove quasi un secolo prima era stato fucilato dalle truppe austriache Attilio Frosini.
Di fronte al plotone che distruggerà le loro vite, fin da ultimo ribadiscono la non colpevolezza contestando punto per punto l’atto con il quale erano stati condannati a morte. Nessuno dei condannati non volle essere bendato proprio per vedere in faccia coloro che li avrebbero uccisi; alla prima scarica nessuno dei componenti il plotone di esecuzione se la sente di mirare ai propri coetanei che risulteranno leggermente feriti. Segue una seconda e definitiva serie di colpi che lascia i poveri corpi a terra.
Nel 2007 grazie ad una petizione del locale Circolo culturale “Giuseppe Garibaldi” firmata da 1200 cittadini ha fatto si che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano concedesse la medaglia d’oro ai ragazzi della Fortezza con la seguente motivazione:
«Condannati a morte “per fucilazione al petto” perché avevano rifiutato di arruolarsi nell’esercito repubblichino, con eroico coraggio, fierissimo contegno ed altissima dignità morale affrontavano il plotone di esecuzione, immolando le giovani vite ai più nobili ideali di libertà e democrazia».
La strage del 31 marzo 1944 è entrata nella memoria collettiva dei cittadini pistoiesi così come l’uccisione dei sei civili in Piazza S. Lorenzo, oppure i morti di Piteccio e gli stessi centocinquanta del primo bombardamento alleato dell’ottobre 1943, ma questo evento, a differenza di quelli in precedenza citati, è quello che destò e desta anche oggi la maggiore emozione perché vide, appunto, il coinvolgimento di quattro giovani vite che si sarebbero certamente battute per la creazione di una società più giusta, libera e democratica.
di Filippo Mazzoni